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il mattino dei maghi

Ciò che leggerete è stato tratto da Il Mattino dei Maghi (Mondadori). In questo capitolo, gli autori del libro parlano della teoria del “Ghiaccio Eterno” (Wel). Tale teorema ebbe vasta notorietà nella Germania Nazista, si calcola che Hans Hörbiger, il padre della Wel, abbia ancora oggi milioni di seguaci.

E’ proprio sulle orme di Hörbiger che personaggi noti come Velikosky e Sitchin hanno creato il loro successo.
Oggi, la nuova e sempre piu accreditata teoria dell’ Universo Elettrico (modello che secondo me potrebbe spiegare anche gli strani fenomeni che hanno luogo a Canneto), getta nuova luce sulle bistrattate teorie di Hörbiger e Velikovsky, ovviamente, si tratta solo di teorie, come la teoria del Big Bang, la teoria dell’ Universo Nucleare, e la teoria della Relatività.. e come tali, possono contenere inesattezze e dati obsoleti.

Comunque ciò che colpisce delle Intuizioni di Hörbiger è la capacità di ricollegare efficacemente elementi diversi in un unico modello, elementi che ancora oggi vengono esclusi dalle credenze “Mainstream” e messi da parte perchè “incompatibili”. Ma come scrive il buon vecchio Lovecraft: “Penso che la cosa più misericordiosa al mondo sia l’incapacità della mente umana di mettere in relazione i suoi molti contenuti”.* P.S.: il seguente testo è stato scannerizzato e vettorializzato, pertanto potrebbe contenere numerosi errori ortografici.Una mattina dell’estate del 1925 il fattorino consegnò una lettera a tutti gli scienziati di Germania e d’Austria. Il tem­po di aprirla: l’idea della scienza serena era morta, i sogni e le grida dei reprobi riempivano improvvisamente i laboratori e le biblioteche.

La lettera era un ultimatum: “Ora bisogna scegliere, essere con noi o contro di noi. Mentre Hitler pulirà la politica, Hans Horbiger spazzerà via le fal­se scienze. La teoria del ghiaccio eterno sarà il segno della ri­generazione del popolo tedesco. Fate attenzione! Schiera­tevi al nostro fianco prima che sia troppo tardi!”.

Hans Horbiger, l’uomo che osava minacciare cosi gli scienziati, aveva sessantacinque anni. Era una specie di profeta fu­rioso. Aveva un’immensa barba bianca e usava una grafia da scoraggiare il miglior grafologo. La sua teoria comincia­va ad essere conosciuta da un largo pubblico con il nome di Wel …

Era una spiegazione del cosmo in contrasto con l’astronomia e le matematiche ufficiali, ma che giustificava an­tichi miti. Tuttavia Horbiger si considerava uno scienziato. Ma la scienza doveva cambiare strada e metodi. “La scien­za oggettiva è un’invenzione perniciosa, un totem di decadenza.” Pensava, come Hitler, che “la questione prelimi­nare ad ogni attività scientifica è di sapere chi vuol sapere”.

Solo il profeta può pretendere di essere scienziato, perché egli, per virtù di illuminazione, raggiunge un grado supe­riore di coscienza.

È ciò che aveva voluto dire l’iniziato Rabelais scrivendo: “Scienza senza coscienza è rovina del­l’anima”.
Egli intendeva dire scienza senza coscienza supe­riore. Il suo messaggio era stato falsato a profitto di una piccola coscienza umanistica elementare. Quando il profe­ta vuol sapere, allora si può parlare di scienza, ma è ben al­tro da ciò che si suol chiamare scienza. Per questo Hans Horbiger non poteva tollerare il minimo dubbio, il mini­mo accenno di contraddizione. Lo agitava un sacro furore: “Voi avete fiducia nelle equazioni e non in me!” urlava. “Quanto tempo vi occorrerà in fine per capire che le matematiche sono una menzogna senza valore?”Nella Germania dell’Herr Doktor, scientista e tecnica, Hans Horbirger, con grida e pugni, apriva il passo al sape­re illuminato, alla conoscenza irrazionale, alle visioni. Non era il solo; in quel campo, doveva stare in vedetta. Hitler e Himmler si tenevano vicino un astrologo, ma segretamen­te. Quell’astrologo si chiamava Führer. Più tardi, dopo l’a­scesa al potere, e come per affermare la loro volontà non soltanto di regnare, ma di “cambiare la vita”, avrebbero osato essi stessi provocare gli scienziati. Avrebbero nomi­nato il Führer “plenipotenziario delle matematiche, della astronomia e della fisica”.’Per il momento, Horbiger adottava negli ambienti intel­lettuali un sistema paragonabile a quello degli agitatori politici.

Sembrava disporre di mezzi finanziari considerevoli. Agiva come un capopartito. Creava un movimento, con un servizio di informazioni, uffici di reclutamento, sottoscri­zioni, propagandisti e uomini di azione reclutati fra i giovani hitleriani.

Si coprivano i muri di manifesti, si inonda­vano i giornali di avvisi, si distribuivano enormi quantità di fogli propagandistici, si organizzavano discussioni pub­bliche. Le riunioni e le conferenze di astronomi venivano interrotte dai seguaci che gridavano: “Via gli scienziati or­todossi! Seguite Horbiger!”. Alcuni professori erano mole­stati per le strade. I direttori degli istituti scientifici riceve­vano avvisi: “Quando avremo vinto, voi e i vostri simili andrete a mendicare sui marciapiedi”.

Uomini di affari, in­dustriali, prima di assumere un impiegato, gli facevano firmare una dichiarazione: “Giuro di avere fiducia nella teoria del ghiaccio eterno”. Horbiger scriveva ai grandi in­gegneri: “O voi imparerete a credere in me, o sarete tratta­to come un nemico”. In pochi anni il movimento pubbli­cò tre grosse opere di teoria, quaranta libri popolari, centi­naia di volumi. Horbiger pubblicava una rivista mensile a forte tiratura: “La Chiave degli Avvenimenti Mondia­li”. Aveva reclutato decine di migliaia di aderenti. Stava per avere un ruolo notevole nella storia delle idee e, insom­ma, nella storia.

Da principio gli scienziati protestavano, pubblicavano lettere e articoli dimostrando l’impossibilità del sistema di Horbiger. Si allarmarono quando la Wel prese le propor­zioni di un vasto movimento popolare. Dopo l’ascesa al po­tere di Hitler, la resistenza diventò più debole, benché le università continuassero ad insegnate l’astronomia ortodos­sa. Celebri ingegneri, scienziati aderirono alla dottrina del ghiaccio eterno, come, per esempio, Lenard, che con Roentgen aveva scoperto i raggi X, il fisico Oberth, e Stark, le cui ricerche sulla spettroscopia erano conosciute in tutto il mondo. Hitler sosteneva apertamente Horbiger e crede­va in. lui. “1 nostri antenati nordici sono diventati forti nella neve e nel ghiaccio” dichiarava una pubblicazione Popolare della Wel; “è per questo che la credenza nel ghiac­cio mondiale è l’eredità naturale dell’uomo nordico. Un au­striaco, Hitler, ha cacciato i politici ebrei; un altro austria­co, Horbiger, caccerà gli scienziati ebrei. Con la sua propria vita il Fùhrer ha dimostrato che un dilettante è superiore ad un professionista. C’è voluto un altro dilettante per darci una comprensione completa dell’Universo.”

Hitler e Horbiger, i “due più grandi austriaci”, si in­contrarono più volte. Il capo nazista ascoltava con deferenza quello scienziato visionario. Horbiger non ammetteva di essere interrotto mentre parlava e rispondeva fermamente a Hitler: “Maul zu!”. Zitto!

Egli portò all’estremo la convinzione di Hitler: il popolo tedesco, nel suo messianismo, era avvelenato dalla scienza occidentale, angusta, debilitante, staccata dalla carne e dall’anima.

Creazioni recenti, come la psicanalisi, la sierologia e la relatività per macchine di guerra puntate contro lo spirito di Parsi. E La dottrina del ghiaccio mondiale avrebbe fornito il travveleno necessario. Questa dottrina distruggeva l’astronomia ammessa: il resto dell’edificio sarebbe crollato solo, e doveva crollare perché rinascesse la magia, solo valore dinamico. Conferenze riunirono i teorici del nazional socialismo e quelli del ghiaccio eterno: Rosenberg e Hor­biger, circondati dai migliori discepoli.

La storia dell’umanità, quale la descriveva Horbiger, con i grandi diluvi e le successive migrazioni, con i suoi gigan­ti e i suoi schiavi, i sacrifici e le epopee, rispondeva alla teoria della razza ariana. Le affinità del pensiero di Horbiger con i temi orientali delle epoche antidiluviane, dei periodi di salvezza della specie e dei periodi di punizione, appassio­narono Himmler. Man mano che il pensiero di Horbiger si precisava, si rivelavano corrispondenze con le visioni di Nietzsche e con la mitologia wagneriana. Le origini favolose della razza ariana, discesa dalle montagne abitate dai supe-ruomini di un’altra epoca, destinata a comandare al pianeta e alle stelle, erano stabilite. La dottrina di Horbiger si asso­ciava strettamente al pensiero del socialismo magico, alle tendenze mistiche del gruppo nazista. Essa alimentava for­temente quella che più tardi Jung doveva chiamare “la libidine dell’irrazionale”. Apportava alcune delle “vitami­ne dell’anima” contenute nei miti.

Nel 1913 un certo Philipp Fauth, astronomo dilettante specializzato nell’osservazione della Luna, pubblicò con alcuni amici un enorme libro di più di ottocento pagine: La Co­smogonia Glaciale di Horbiger. La maggior parte dell’opera era stata scritta da Horbiger stesso.

Horbiger a quell’epoca amministrava con negligenza il suo patrimonio. Nato nel 1860, da una famiglia nota in Tirolo da secoli, aveva studiato alla Scuola di Tecnologia di Vien­na e aveva frequentato un corso di studi pratici a Buda­pest. Disegnatore presso il costruttore di macchine a va­pore Alfred Collman, in seguito era stato assunto come spe­cialista di compressori presso Land, a Budapest. Li, nel 1894, aveva inventato un nuovo sistema di rubinetti per pompe e compressori. La licenza era stata venduta a potenti società tedesche e americane, e Horbiger si era trovato improvvisa­mente a disporre di una grande fortuna, che la guerra ben presto avrebbe disperso.

Horbiger si appassionava alle applicazioni astronomiche dei mutamenti di stato dell’acqua: liquido, ghiaccio, vapo­re, che aveva avuto occasione di studiare esercitando la sua professione. Egli pretendeva di spiegare con questo mezzo tutta la cosmografia e tutta l’astrofisica. Improvvise illumi­nazioni, folgoranti intuizioni gli avevano aperto le porte, diceva, di una nuova scienza che conteneva tutte le altre scienze. Sarebbe diventato uno dei grandi profeti della Ger­mania messianica, e, come si sarebbe scritto dopo la sua morte, “uno scopritore di genio benedetto da Dio”.

La dottrina di Horbiger deriva la sua potenza da una visio­ne completa della storia e dell’evoluzione del cosmo.

Essa spiega la formazione del sistema solare, l’origine della Ter­ra, della vita e dello spirito. Descrive tutto il passato dell’u­niverso e ne annunzia le future trasformazioni. Risponde ai tre interrogativi essenziali: Che cosa siamo? Donde ve­niamo? Dove andiamo? E vi risponde in modo esaltante.

Tutto è basato sull’idea della lotta perpetua, negli spazi infiniti, tra il ghiaccio e il fuoco, e tra la forza di repulsio­ne e quella d’attrazione.

Questa lotta, questa tensione va­cante tra principi opposti, questa eterna guerra nel cielo, che è la legge dei pianeti, governa anche la Terra e la mate­ria vivente e determina la storia umana. Horbiger preten­de di rivelare il più lontano passato del nostro globo e il suo più lontano futuro, e introduce concetti fantastici sul­l’evoluzione delle specie viventi. Egli capovolge ciò che generalmente pensiamo della storia delle civiltà, dell’appa­rizione e dello spiluppo dell’uomo e delle società umane. A questo proposito, egli non descrive una continua asce­sa, ma una serie di ascese e di cadute. Uomini-dei, giganti, civiltà favolose ci avrebbero preceduti centinaia di miglia­ia, e forse di milioni di anni fa. Ciò che erano gli antenati della nostra razza noi forse lo ridiventeremo, attraverso ca­taclismi e mutamenti straordinari, nel corso di una storia che si svolge per cicli, sulla Terra come nel cosmo. Perché le leggi del cielo sono anche le leggi della Terra e l’intero Universo partecipa dello stesso movimento, è un organi­smo vivente in cui tutto si ripercuote su tutto. La vicenda degli uomini è legata a quella degli astri, ciò che avviene nel cosmo avviene sulla Terra, e viceversa.

Come si vede questa dottrina dei cicli e delle relazioni quasi magiche tra l’uomo e l’universo convalida il più lon­tano pensiero tradizionale. Essa rintroduce le antichissime profezie, i miti e le leggende, gli antichi temi della Genesi, del diluvio, dei giganti e degli dei.

Come si capirà meglio ben presto, questa dottrina è in contrasto con tutti i dati della scienza corrente. Ma, diceva Hitler “c’è una scienza nordica e nazionalsocialista che si oppone alla scienza giudeo-liberale”. La scienza ufficiale dell’occidente, come del resto la religione giudeo-cristiana, che vi trova complicità, è una congiura che bisogna spez­zare. È una congiura contro il senso dell’epopea e del ma­gico che risiede nel cuore dell’uomo forte, una vasta cospi­razione che chiude all’umanità le porte del passato e quelle dell’avvenire di là dal breve spazio delle civiltà conosciu­te, che la stacca dalle sue origini e dal suo destino favoloso e la priva del dialogo coi suoi dei.

Generalmente gli scienziati ammettono che il nostro uni­verso fu creato da un’esplosione, tre o quattro miliardi d’anni fa.

Esplosione di che cosa?

Forse l’intero cosmo era contenuto in un atomo, punto zero della creazione. Que­st’atomo sarebbe esploso e da allora sarebbe in continua espansione. In esso sarebbero state contenute tutta la mate­ria e tutte le forze oggi spiegate. Ma in questa ipotesi, non si potrebbe tuttavia dire che si tratta dell’inizio assoluto dell’Universo. I teorici dell’ espansione dell’Universo, che avrebbe come inizio quell’atomo, lasciano insoluto il pro­blema della sua origine.
Tutto sommato, la scienza non di­chiara sull’argomento niente di più preciso di quanto si tro­va nel meraviglioso poema indiano:”Nell’intervallo fra dissoluzione e creazione, Vishnù-Cesha riposava nella sua sostanza, luminoso di energia dormente, fra i germi delle vite future”.

Per quanto riguarda l’origine del nostro sistema solare, le ipotesi sono altrettanto vaghe. Si è immaginato che i pia­neti sarebbero nati da una esplosione parziale del Sole. Un gran corpo astrale sarebbe passato vicinissimo strappando una parte della sostanza solare che si sarebbe dispersa nello spazio e come condensata in pianeti. Poi il grande corpo, il superastro ignoto, continuando la sua corsa, sarebbe scom­parso nell’infinito. Si è immaginata anche l’esplosione di un gemello del nostro Sole. Il professore H. N. Roussel, rias­sumendo la questione scrive spiritosamente: “Fino a quan­do non sapremo come la cosa è accaduta, la sola cosa real­mente certa è che il sistema solare si è prodotto in qualche modo”.

Horbiger, invece, pretende di sapere come la cosa è ac­caduta. Egli possiede la spiegazione definitiva.
In una let­tera all’ingegnere Willy Ley assicura che questa spiegazione gli è balzata agli occhi quando era giovane: “Ho avuto la rivelazione” dice “quando, giovane ingegnere, un gior­no osservai una colata di acciaio fuso su un terreno ba­gnato e coperto di neve: la terra esplodeva con un certo ritardo e una gran violenza”. Tutto qui.
Partendo da que­sto, la dottrina di Horbiger si alzerà e si gonfìerà. È la mela di Newton.

C’era nel cielo un enorme corpo ad alta temperatura, mi­lioni di volte più grande del nostro sole attuale. Questo corpo entrò in collisione con un pianeta gigante costituitosi per l’accumularsi del ghiaccio cosmico. Questa massa di ghiaccio penetrò profondamente nel supersole. Per centina­ia di migliaia di anni non accadde niente; poi il vapore acqueo fece esplodere tutto.
Alcuni frammenti furono proiettati cosi lontano che si persero nella spazio ghiacciato.
Altri ricaddero sulla massa centrale da cui era partita l’esplosione.

Altri, infine, furono proiettati in una zona media: sono i pianeti del nostro sistema. Ce n’erano trenta. Sono bloc­chi che a poco a poco si sono coperti di ghiaccio. La Luna, Giove, Saturno sono di ghiaccio, e i canali di Marte sono cre­pacci nel ghiaccio. Solo la Terra non è interamente occupata dal freddo: vi si perpetua la lotta tra il ghiaccio e il fuoco.

Ad una distanza pari a tre volte quella da Nettuno si trovava, al momento dell’esplosione un enorme anello di ghiaccio. Vi si trova ancora. Gli astronomi ufficiali si osti­nano a chiamarlo Via Lattea perché alcune stelle simili al nostro Sole, nello spazio infinito, brillano attraverso di es­sa. Quanto alle fotografie di stelle singole il cui insieme for­merebbe la Via Lattea, sono dei trucchi.

Le macchie che si osservano sul Sole e che cambiano di forma e di luogo ogni undici anni, sono inspiegabili per gli scienziati ortodossi. Esse sono prodotte dalla caduta di blocchi di ghiaccio che si staccano da Giove. E Giove termi­na il suo giro intorno al Sole ogni undici anni.

Nella zona media dell’esplosione, i pianeti del sistema a cui apparteniamo ubbidiscono a due forze:
– la forza iniziale dell’esplosione, che li allontana;
– la gravitazione che li attira verso la massa più forte che si trova più vicina.

Queste due forze non sono uguali. La forza dell’esplo­sione iniziale va diminuendo, perché lo spazio non è vuo­to; vi è una materia tenue, composta di idrogeno e di va­pore acqueo.

Inoltre, l’acqua che raggiunge il Sole riempie lo spazio di cristalli di ghiaccio. Cosi la forza iniziale, di repulsione, si trova sempre più frenata. Invece la gravita­zione è costante. Per questo ogni pianeta si avvicina al pianeta più prossimo che lo attira. Si avvicina girando intor­no, o piuttosto descrivendo una spirale che si va restrin­gendo. Cosi presto o tardi ogni pianeta cadrà sul più vicino, e tutto il sistema finirà per ricadere in ghiaccio nel Sole e ci sarà una nuova esplosione, e un ricominciamento.

Ghiaccio e fuoco, repulsione e attrazione lottano eter­namente nell’Universo. Questa lotta determina la vita, la morte e la rinascita perpetua del cosmo. Uno scrittore tede­sco, Elmar Brugg, ha scritto nel 1952 un’opera in lode di Horbiger, in cui dice: “Nessuna delle dottrine che spiegano l’Universo faceva entrare in gioco il principio di contraddizione, della lotta di due forze contrarie, di cui tuttavia l’anima dell’uomo si alimenta da millenni. Il merito imperituro di Horbiger è di aver risuscitato potentemente la conoscenza intuitiva dei nostri antenati attraverso il conflitto eterno del fuoco e del ghiaccio, cantato dall’Edda. Egli ha esposto questo conflitto agli occhi dei suoi contemporanei. Egli ha dato base scien­tifica a questa immagine grandiosa del mondo legata al dua­lismo della materia e della forza, della repulsione che di­sperde e dell’attrazione che riunisce.”

È dunque certo: la Luna finirà per cadere sulla Terra. C’è un momento, alcune decine di millenni, in cui la di­stanza da un pianeta all’altro sembra fissa. Ma potremo ren­derci conto che la spirale si restringe. A poco a poco, nel corso del tempo, la Luna si avvicinerà. La forza di gravita­zione che essa esercita sulla Terra andrà aumentando. Allo­ra le acque dei nostri oceani si uniranno in una marea per­manente e saliranno, coprendo le terre, sommergendo i tro­pici e circondando le più alte montagne. Gli esseri viventi si troveranno progressivamente alleggeriti di peso. Diven­teranno più grandi. I raggi cosmici diventeranno più poten­ti Agendo sui geni e sui cromosomi determineranno muta­zioni. Si vedranno apparire nuove razze, animali, piante e uomini giganteschi. Poi, avvicinandosi ancora, la Luna scoppierà, girando alla massima velocità e diventerà un im­menso anello di pietre, di ghiaccio, di acqua e di gas, gi­rando sempre più veloce. Infine l’anello si abbatterà sulla Terra, e sarà la caduta, l’apocalisse annunciata. Ma se talu­ni uomini sopravviveranno (i più forti, i migliori, gli elet­ti), saranno loro riservati strani e formidabili spettacoli. E forse lo spettacolo finale.

Dopo millenni senza satellite in cui la Terra avrà cono­sciuto straordinarie sovrapposizioni di antiche e nuove fazze, di civiltà originate dai giganti, ricominciamenti di là dal diluvio, e immensi cataclismi, Marte, più piccolo del nostro globo, finirà per raggiungerlo. Entrerà nell’orbita della Terra.

Ma è troppo grande per essere catturato, diventare, come la Luna, un satellite. Passerà vicinissimo alla Terra, la sfiorerà andando a cadere sul Sole, attirato da esso, aspirato dal fuoco. Allora la nostra atmosfera sarà improvvisamente afferrata, trascinata dalla gravitazione di Marte, e ci lascerà per perdersi nello spazio. Gli oceani turbineranno ribollendo sulla superficie della Terra, spazzando tutto, e la crosta terrestre scoppierà. Il nostro globo, morto, continuando la sua spirale, sarà raggiunto da planetoidi ghiacciati che vagano nel cielo, e diventerà una enorme sfera di ghiaccio che a sua volta andrà a gettarsi nel Sole.

Dopo la collisione ci sarà il grande silenzio, la grande immobilità, mentre per milioni d’anni il vapore acqueo accumulerà all’interno della massa fiammeggiante. Infine, vi sarà un’altra esplosione per altre creazioni nell’eternità delle forze ardenti del cosmo.

Tale è il destino del nostro sistema solare nella visione dell’ingegnere austriaco che i gerarchi nazionalsocialisti chiamavano “il Copernico del secolo XX”. Descriveremo ora questa visione applicata alla storia passata, presente e futura della Terra e degli uomini. È una storia che, attraver­so “gli occhi di tempesta e di lotta” del profeta Horbiger, assomiglia ad una leggenda, piena di rivelazioni favolose e di formidabili stranezze.

Eravamo nel 1948, io credevo in Gurdjiev e una delle sue fedeli discepole mi aveva cortesemente invitato a passare qualche settimana con la mia famiglia in casa sua, in mon­tagna. Quella donna aveva vera cultura, la formazione di una studiosa di chimica, intelligenza acuta e carattere fer­mo. Aiutava gli artisti e gli intellettuali. Dopo Lue Dietrich e René Daumal, dovevo contrarre verso di lei un debito di riconoscenza. Non aveva nulla della discepola invasata, e l’insegnamento di Gurdjiev, che talvolta soggiornava in casa sua, le giungeva attraverso il vaglio della ragione.

Tuttavia un giorno, la colsi o credetti di coglierla in flagrante delitto di irrazionalità. Essa mi rivelò improvvisamente gli abissi del suo delirio, ed io restai muto e atterrito davan­ti a lei, come davanti ad un’agonia. Una notte stellata e fred­da scendeva sulla neve, e noi conversavamo tranquillamen­te, appoggiati al balcone della villetta. Guardavamo gli astri, come li si guarda in montagna, provando una solitudine asso­luta che è angosciosa altrove e, in montagna, purificatrice. Il rilievo della Luna appariva nettamente.

«Bisognerebbe dire piuttosto una luna» disse la mia ospite «una delle lune…»
«Che volete dire?»
«Ci sono state altre lune nel cielo. Questa è l’ultima, sem­plicemente…»
«Che? Ci sarebbero state altre lune oltre questa?»
«È certo. Il signor Gurdjiev lo sa, e altri lo sanno.»
«Ma, insomma, gli astronomi…»
«Oh, se vi fidate degli scientisti!…»
Il suo viso era calmo, ella sorrideva con una sfumatura di compassione.
Da quel giorno cessai di sentirmi sullo stes­so piano con certi amici di Gurdjiev che stimavo. Diven­nero ai miei occhi esseri fragili e inquietanti e io sentii che uno dei fili, che mi legavano a quel gruppo, si era spezza­to.

Alcuni anni pivi tardi, leggendo il libro di Gurdjiev, I Racconti di Belzebù, e scoprendo la cosmogonia di Hor­biger, dovevo capire che quella visione, o piuttosto quel­la credenza, non era una semplice capriola nel fantastico.

C’era una certa coerenza tra quella bizzarra storia di lune e la filosofia del superuomo, la psicologia degli “stati supe­riori di coscienza”, la meccanica delle mutazioni. Infine nelle tradizioni orientali si trovavano quella storia e l’idea che alcuni uomini, millenni fa, avevano potuto osservare un cielo diverso dal nostro, altre costellazioni, un altro satellite.

Gurdjiev non aveva fatto altro che ispirarsi a Horbiger che certamente conosceva?
Oppure aveva attinto ad anti­che fonti di sapere, tradizioni o leggende, che Horbiger aveva ribadito come per caso nel corso delle sue illumina­zioni pseudo-scientifiche?

Su quel balcone della villetta di montagna io ignoravo che la mia ospite esprimeva una credenza che era stata quel­la di migliaia di uomini nella Germania hitleriana ancora sepolta sotto le rovine, in quel periodo ancora sanguinan­te, ancora fumante fra le macerie dei suoi grandi miti. E non lo sapeva neanche la mia ospite, in quella bella notte chiara e calma.

Cosi, secondo Horbiger, la Luna, quella che noi vediamo, non sarebbe che l’ultimo satellite captato dalla Terra, il quarto. Il nostro globo, nel corso della sua storia, ne avreb­be già captato tre. Tre masse di ghiaccio cosmico erranti nello spazio, sarebbero entrate, una dopo l’altra, nella no­stra orbita. Esse avrebbero cominciato a descrivere delle spirali intorno alla Terra, avvicinandosi, poi si sarebbero abbattute su di noi. La nostra Luna attuale precipiterà anch’essa sulla Terra. Ma questa volta la catastrofe sarà maggiore, perché quest’ultimo satellite di ghiaccio è più gran­de dei precedenti. Tutta la storia del globo, l’evoluzione delle specie e tutta la storia umana trovano la loro spiega­zione in questa successione di lune nel nostro cielo.

Ci sono state quattro epoche geologiche, perché ci sono state quattro lune. Noi siamo nel quaternario. Quando una luna cade, è già scoppiata, e, girando sempre più veloce, si è trasformata in un anello di pietre, di ghiaccio e di gas. Questo anello cade sulla Terra avvolgendo la crosta terre­stre e fossilizzando tutto ciò che si trova sotto di esso. In periodi normali gli organismi sepolti non si fossilizzano, si putrefanno. Si fossilizzano solo quando cade la Luna. Così abbiamo potuto distinguere un’epoca primaria una secondaria e una terziaria. Tuttavia, trattandosi di anello, non abbiamo che testimonianze molto frammentarie “sulla storia della vita sulla Terra. Altre specie animi e vegetali hanno potuto nascere e sparire, nel corso del tempo, senza che ne restasse traccia negli strati geologici. La teoria delle lune successive permette di immaginare le mutazioni subite nel passato dalle forme viventi. Permette anche di prevedere le mutazioni future.

Durante il periodo in cui il satellite si avvicina, c’è un momento di alcune centinaia di migliaia di anni in cui era intorno alla Terra ad una distanza pari a quattro-sei raggi terrestri. A paragone con la distanza della nostra Lu­na attuale, è a portata di mano. La gravitazione è dunque considerevolmente cambiata. Ora, è proprio la gravitazione che determina la conformazione degli esseri. Essi diventa­no più o meno grandi secondo il peso che possono sopportare.

Il modello dell’universo elettrico non tratta la gravità come una costante, ma come una variabile che dipende dal circostante plasma ambientale.

Nel momento in cui il satellite è vicino, c’è dunque un periodo di gigantismo.

Alla fine del primario: immensi vegetali, insetti gigante­schi.

Alla fine del secondario: il diplodoco, gli iguanodon­ti, gli animali di trenta metri. Si producono mutazioni bru­sche, perché i raggi cosmici sono più potenti. Gli esseri, al­leggeriti di peso, si drizzano, le scatole craniche si allarga­no, alcune bestie si mettono a volare. Forse, alla fine del se­condario sono apparsi mammiferi giganti. E forse i primi uomini, creati per mutazione. Si dovrebbe collocare questo periodo alla fine del secondario, nel momento in cui la se­conda luna gira in vicinanza del globo, a circa quindici mi­lioni di anni.

È l’epoca del nostro antenato, il gigante.

La signora Blavatsky, che pretendeva di averne avuto notizia dal Libro di Dzyan, testo che sarebbe il più antico dell’u­manità e narrerebbe la storia delle origini dell’uomo, assi­curava anche che una prima razza umana, gigantesca, sa­rebbe apparsa fin dal secondario: “L’uomo secondario un giorno sarà scoperto, e con lui le sue civiltà da tempo sepolte”.

In una notte dei tempi infinitamente più fitta di quanto pensiamo, ecco dunque, sotto una luna diversa, in un mondo di mostri, questo primo uomo immenso che ci rassomiglia appena, e la cui intelligenza è diversa dalla no­stra. Il primo uomo, e forse la prima coppia umana, ge­melli espulsi da una matrice animale, per un prodigio di mutazioni che si moltiplicano quando i raggi cosmici sono giganteschi. La Genesi ci dice che i discendenti di questo an­tenato vivevano da cinquecento a novecento anni: dipende dal fatto che l’alleggerimento di peso diminuisce l’usura dell’organismo. Essa non ci parla di giganti, ma le tradizio­ni ebree e musulmane riparano largamente a questa omis­sione. Infine, alcuni discepoli di Horbiger sostengono che recentemente in Russia sarebbero stati scoperti fossili del­l’uomo secondario.

Un Moai dell’isola di Pasqua

Quali possono essere state le forme di civiltà dei giganti quindici milioni di anni fa?

Si immaginano gruppi e modi di essere ricalcati sugli insetti giganti provenienti dal pri­mario, dei quali i nostri insetti attuali, ancora cosi strani, sono i discendenti degeneri. Si immaginano grandi poteri di comunicare a distanza, civiltà fondate sul modello delle centrali di energia psichica e materiale formate, per esem­pio, dai termitai, che pongono all’osservatore tanti proble­mi sconcertanti sui campi sconosciuti delle infrastrutture — o delle super-strutture — dell’intelligenza.

La seconda luna si avvicinerà ancora, scoppierà in anello e si abbatterà sulla Terra che conoscerà un nuovo e lun­go periodo senza satellite.

Negli spazi lontani una forma­zione glaciale a spirale raggiungerà l’orbita della Terra che capterà così una nuova luna.
Ma nel periodo in cui nessuna grossa sfera brilla sulle teste, sopravvivono sol­tanto alcuni esemplari delle mutazioni avvenute alla fine del secondario e che sussisteranno diminuendo di propor­zioni. Ci sono ancora giganti, che si adattano.

Quando ap­pare la luna terziaria sono già stati formati uomini comuni, più piccoli e meno intelligenti: i nostri veri antenati. Ma i giganti usciti dal secondario e che hanno superato il cata­clisma, esistono ancora e civilizzeranno i piccoli uomini.

L’idea che gli uomini, partendo dallo stato bestiale e selvaggio, si sono lentamente innalzati fino alla civiltà, è recente.

È un mito giudeo-cristiano imposto alle coscienze per scacciare un mito più potente e più rivelatore.
Quando l’umanità era più recente, più vicina al suo passato, al tem­po in cui nessuna cospirazione ben ordita l’aveva ancora al­lontanata dalla sua stessa memoria, essa sapeva di discen­dere dagli dei, dai re giganti che le avevano insegnato tut­to.

Essa si ricordava di un’età aurea in cui i superiori, na­ti prima di lei, insegnavano l’agricoltura, la metallurgia, le arti, le scienze e il governo dell’anima. I greci ricordava­no l’età di Saturno e la riconoscenza che i loro antenati ave­vano per Ercole. Gli egizi e i popoli della Mesopotamia con­servavano le leggende dei re giganti iniziatori. Le popola­zioni che noi oggi chiamiamo “primitive”, gli indigeni del Pacifico, per esempio, mescolano alla loro religione, indub­biamente imbastardita, il culto dei buoni giganti, del prin­cipio del mondo. Nella nostra epoca, in cui tutti i dati dello spirito e della conoscenza sono stati invertiti, gli uomini che hanno compiuto il formidabile sforzo di sottrarsi ai modi di pensare ufficiali, ritrovano alla sorgente della loro intelligenza la nostalgia dei tempi felici dell’alba delle età, di un paradiso perduto, il ricordo velato di una iniziazione primordiale.

Dalla Grecia alla Polinesia, dall’Egitto al Messico e alla Scandinavia, tutte le tradizioni riferiscono che gli uomini furono iniziati da giganti.

È l’epoca d’oro del terziario, che dura molti milioni di anni, durante i quali la civiltà mora­le, spirituale, e forse tecnica raggiunge il suo apogeo sul globo.

Quando i giganti erano ancora mescolati agli uomini, nei tempi in cui mai nessuno parlò, scrive Hugo con straordinaria illuminazione.

La luna terziaria, la cui spirale si restringe, si avvicina alla Terra.

Le acque salgono, attratte dalla gravitazione del sa­tellite, e gli uomini, più di novecentomila anni fa, salgono sulle più alte cime delle montagne con i giganti, loro re. Su quelle cime, sopra gli oceani sollevati che formano una spe­cie di anello intorno alla Terra, gli uomini e i loro Superio­ri fonderanno una civiltà marittima mondiale in cui Horbiger e il suo discepolo inglese Bellamy vedono la civiltà atlantidea.

Bellamy nota nelle Ande, a quattromila metri, tracce di sedimenti marini che si prolungano per settecento chilo­metri. Le acque della fine del terziario arrivavano fin las­sù, e uno dei centri della civiltà di questo periodo sarebbe stata Tiahuanaco, presso il lago Titicaca.

Le rovine di Tiahuanaco testimoniano una civiltà centinaia di volte mille­naria, e che non assomiglia in nulla alle civiltà posteriori (L’archeologo tedesco Von Hagen, autore di un’opera pubblicata in francese col titolo Au royaume des Incas, ha raccolto presso il lago Titicaca una tradizione orale degli indiani del luogo secondo cui “Tiahuanaco fu costruita prima che esistessero le stelle nel cielo”).

Tiahuanaco

Per i seguaci di Horbiger le tracce dei giganti vi sono vi­sibili come i loro inspiegabili monumenti.
Vi si trova, per esempio, una pietra di nove tonnellate che ha su sei facce buchi di tre metri di altezza, incomprensibili per gli archi­tetti, come se la loro funzione fosse stata poi dimenticata da tutti i costruttori esistiti nella storia. Alcuni portici misurano tre metri di altezza e quattro di larghezza, e sono tagliati in un solo blocco di pietra con porte, false finestre sculture eseguite a scalpello, il tutto pesante dieci tonnellate. Dei pannelli murali, ancora in piedi, pesano sessanta tonnellate, sostenuti da blocchi di grès di cento tonnellate piantati come coni nel terreno. In mezzo a queste rovine favolose si elevano statue gigantesche delle quali una sola è stata portata in basso e collocata nel giardino del musa di La Paz. Misura otto metri di altezza e pesa venti tonnellate. Tutto invita i seguaci di Horbiger a vedere in queste statue ritratti di giganti da essi stessi eseguiti.

“Dai lineamenti del volto giunge ai nostri occhi e an­che al nostro cuore, un’espressione di sovrana bontà e di sovrana saggezza. Un’armonia di tutto l’essere spira da tutto il colosso le cui mani e il corpo nobilmente stilizzati posano in un equilibrio che ha un valore morale. Riposo e pace spirano dal meraviglioso monolito. Se esso è il ritrat­to di uno dei re giganti che hanno governato quel popolo, non si può non pensare a questo inizio di una frase di Pa­scal: ‘Se Dio ci desse dei maestri di sua mano…’.”Se quei monoliti furono scolpiti e innalzati dai giganti per i loro discepoli, gli uomini; se le sculture di estrema astrattezza, di una stilizzazione cosi spinta da confondere la nostra intelligenza, sono state eseguite da quei Superiori, noi troviamo in esse l’origine dei miti secondo cui le arti sono state insegnate agli uomini da dei, e la chiave delle di­verse mistiche dell’ispirazione estetica.

Todoxon platensis

Fra quelle sculture figurano stilizzazioni di un animale, il todoxon, le cui ossa sono state scoperte fra le rovine di Tiahuanaco. Ora, si sa che il todoxon non ha potuto vivere che nel terziario. Infine in quelle rovine che precedereb­bero di centomila anni la fine del terziario, affondato nella melma secca c’è un portico di dieci tonnellate, le cui deco­razioni sono state studiate dall’archeologo tedesco Kiss, di­scepolo di Horbiger, tra il 1928 e il 1937. Si tratterebbe di un calendario compilato in base alle osservazioni degli astronomi del terziario. Questo calendario registra dati rigorosamente scientifici. È diviso in quattro parti distinte dai solstizi e gli equinozi che segnano le stagioni astrono­miche. Ciascuna delle stagioni è suddivisa in tre sezioni, e nelle dodici suddivisioni la posizione della Luna è visibi­le per ogni ora del giorno. Inoltre, i due movimenti del sa­tellite, quello apparente e quello reale, tenuto conto della rotazione della Terra, sono indicati su quel favoloso porti­co scolpito, cosicché è necessario pensare che coloro che hanno realizzato e usavano quel calendario avevano una cul­tura superiore alla nostra.

Tiahuanaco, a più di quattromila metri sulle Ande, era dunque una delle cinque grandi città della civiltà marittima della fine del terziario, costruite dai giganti condottieri di uo­mini. I discepoli di Horbiger vi trovano le tracce di un grande porto, con le sue enormi banchine, donde gli Atlanti, poiché senza dubbio si tratta dell’Atlantide, partivano, a bor­do di vascelli perfetti, a fare il giro del mondo sull’anello degli oceani e toccavano gli altri quattro grandi centri: Nuo­va Guinea, Messico, Abissinia, Tibet. Così quella civiltà era estesa a tutto il mondo, il che spiega le somiglianze tra le più antiche tradizioni conosciute dell’umanità.

La Leggenda del gigante Gulliver narra proprio di un marinaio

All’estremo grado di unità, di raffinatezza delle conoscen­ze e dei mezzi, gli uomini e i loro re giganti sanno che la spirale della terza luna va restringendosi e che il satellite alla fine cadrà, ma essi sono coscienti delle relazioni di tutte le cose del cosmo, dei rapporti magici dell’essere con l’uni­verso, e senza dubbio adoperano certi poteri, certe energie individuali e collettive, tecniche e spirituali per ritardare il cataclisma e prolungare l’età atlantidea, il cui ricordo con­fuso resterà attraverso i millenni.Quando la luna terziaria cadrà, le acque si abbasseranno bruscamente, ma sconvolgimenti precorritori avranno già danneggiato quella civiltà. Abbassatisi gli oceani, le cinque grandi città, fra cui l’Atlantide delle Ande, spariranno, iso­late, asfissiate dall’abbassarsi delle acque. Le tracce sono più evidenti a Tiahuanaco, ma i discepoli di Horbiger ne scopro­no altrove.Nel Messico i toltechi hanno lasciato testi sacri che narrano la storia della Terra in modo conforme alla tesi di Horbiger. Nella Nuova Guinea gli indigeni malekula conti­nuano, senza più rendersi conto di ciò che fanno, ad innal­zare immense pietre scolpite che misurano più di dieci me-tri di altezza e rappresentano l’antenato superiore, e la loro tradizione orale che fa della Luna la creatrice del gene umano, prevede la caduta del satellite.

Shiva, il Dio della distruzione viene raffigurato con una luna in fronte (a sinistra)

Dall’Abissinia sarebbero discesi i giganti mediterranei dopo il cataclisma e la tradizione fa di quell’altopiano culla del popolo giudeo e la patria della regina di Saba, de tentrice delle scienze antiche.
Infine si sa che il Tibet è un serbatoio di antichissime conoscenze fondate sulla psicologia. Quasi a confermare visione dei discepoli di Horbiger, nel 1957 è apparsa in Inghilterra e in Francia una curiosa opera intitolata Il Terzo Occhio che porta la firma di Lobsang Rampa. L’autore assicura di essere un lama che ha raggiunto l’ultimo grado di iniziazione. Potrebbe essere uno dei tedeschi inviati in mis­sione speciale nel Tibet dai capi nazisti. Egli descrive la sua discesa sotto la guida di tre grandi metafisici lamaisti, in una cripta di Lhasa dove si troverebbe il vero segreto Tibet.

“Vidi tre sarcofagi in pietra nera decorati di incisioni e di iscrizioni strane. Non erano chiusi. Gettando un’occhia­ta all’interno, mi si mozzò il respiro.

“«Guarda, figlio» mi disse il decano degli abati. «Essi vivevano come dei nel nostro paese all’epoca in cui non esi­stevano ancora montagne. Essi percorrevano il nostro suo­lo quando i mari bagnavano le nostre rive e quando altre stelle brillavano nei nostri cieli. Guarda bene, perché solo gli iniziati li hanno visti.»

“Ubbidii, affascinato e atterrito nello stesso tempo. Tre corpi nudi, ricoperti d’oro, erano allungati sotto i miei oc­chi. Tutti i loro lineamenti erano fedelmente riprodotti dal­l’oro. Ma erano enormi! La donna misurava più di tre metri, e il più grande degli uomini non meno di cinque. Le loro teste erano grandi, leggermente coniche in alto, la mascel­la stretta, la bocca era piccola, le labbra sottili. Il naso era lungo e fine, gli occhi diritti e profondamente incavati… Esaminai il coperchio di uno dei sarcofagi.

Vi era incisa una carta dei cieli, con stelle molto strane.” (Da notare che in una caverna del Bohistan, ai piedi dell’Himalaya, è stata trovata una carta del cielo mollo diversa dalle carte stabilite oggi. Gli astro­nomi pensano che si tratti di osservazioni che possono essere state fatte tredicimila anni fa. Questa carta fu pubblicata dal “National Geographical Ma­gazine” nel 1925). E scrive ancora, dopo quella discesa nella cripta: “Anticamente, migliaia e migliaia di anni fa, i giorni erano più brevi e più caldi. Sorsero civiltà grandiose e gli uomini erano più colti di adesso. Dallo spazio esterno sor­se un pianeta che urtò di fianco la Terra. I venti agitarono i mari che per effetto di diverse spinte gravitazionali si ri­versarono sulla Terra. L’acqua ricopri il globo che fu scos­so da terremoti e il Tibet cessò di essere un paese caldo, una stazione marittima.”Bellamy, archeologo seguace di Horbiger, trova intorno al lago Titicaca le tracce delle catastrofi che precedettero la caduta della luna terziaria: ceneri vulcaniche, depositi pro­venienti da inondazioni improvvise. È il momento in cui il satellite sta per scoppiare in un anello e girare follemen­te a distanza minima dalla Terra, prima di cadere. Intor­no a Tiahuanaco certe rovine fanno pensare a cantieri bru­scamente abbandonati, con utensili sparpagliati.L’altra civiltà atlantidea conosce per alcune migliaia di anni gli attacchi degli elementi, e si dissolve. Poi, centocin­quantamila anni fa, si produce il cataclisma, la luna cade, un terribile bombardamento colpisce la Terra. L’attrazione cessa, l’anello di acque cade immediatamente, i mari si riti­rano, si riabbassano. Le cime che erano grandi stazioni ma­rittime, sono isolate da infinite paludi. L’aria si rarefa, il caldo cessa.

L’Atlantide non muore sepolta, ma al contrario perché abbandonata dalle acque. Le navi vengono trascina­te e distrutte, le macchine sprofondano o esplodono, i vive­ri che venivano dall’esterno vengono a mancare, la morte distrugge miriadi di esseri, gli scienziati e le scienze sono scomparsi, l’organizzazione sociale annientata. Se la civiltà atlantidea aveva raggiunto il più alto grado possibile di perfezione sociale e tecnica, di gerarchia e di unità, ha po­tuto volatilizzarsi in brevissimo tempo, senza lasciare quasi tracce.

Si pensi quale potrebbe essere la scomparsa della no­stra civiltà tra alcune centinaia di anni, o anche fra alcuni anni. Gli apparecchi che emettono energia, come quelli che la trasmettono, diventano sempre più semplici, e i relais diventano sempre più numerosi. Ben presto ciascuno di noi possiederà dei relais di energia nucleare, per esempio, o vi­vrà vicino a tali relais: officine o macchine, fino al giorno in cui basterà un incidente alla sorgente perché tutto si vo­latilizzi contemporaneamente sull’immensa catena di quei relais: uomini, città, nazioni. Sarà risparmiato proprio tut­to ciò che non sarà a contatto con l’alta civiltà tecnica. E le scienze-chiave come le chiavi del potere, spariranno di col­po, in ragione stessa dell’estremo grado di specializzazione.

Sono le civiltà più grandi che spariscono in un istante, sen­za trasmettere nulla.

Questa visione è irritante per lo spi­rito, ma rischia di essere esatta. Cosi si può pensare che le centrali e i relais dell’energia psichica, che era forse alla ba­se della civiltà del terziario, siano saltate completamente e contemporaneamente, mentre deserti di melma circondava­no le cime divenute fredde, su cui l’aria diventava irrespi­rabile. Più semplicemente, la civiltà marittima, con i suoi Superiori, le sue navi, gli scambi, svanisce nel cataclisma.

Ai sopravvissuti non resta che discendere verso le pia­nure paludose che il mare ha scoperto, verso le immense torbiere del nuovo continente, appena liberato dalla ritirata delle acque tumultuose, in cui non apparirà una vegetazio­ne utile che nel corso di millenni. I re giganti sono alla fi­ne del loro regno; gli uomini sono ridiventati selvaggi e affondano con i loro dei decaduti nelle profonde notti sen­za luna che il globo sta per conoscere.

I giganti che da milioni di anni abitavano questo mondo, simili agli dei che si troveranno nelle nostre leggende mol­to più tardi, hanno perduto la loro civiltà. Gli uomini su cui regnavano sono ridiventati bruti. Questa umanità deca­duta, dietro i suoi signori senza poteri, si disperde in or­de nei deserti di melma.

Questa caduta risalirebbe a cento­cinquantamila anni fa, e Horbiger calcola che il nostro pia­neta rimane senza satellite per centotrentottomila anni. Du­rante questo immenso periodo rinascono alcune civiltà sot­to la signoria degli ultimi re giganti. Esse si stabiliscono su pianure elevate, tra il quarantesimo e il sessantesimo gra­do di latitudine nord, mentre sulle cinque alte cime del ter­ziario rimane qualche cosa della lontana età dell’oro.

Ci sarebbero state dunque due Atlantidi: quella delle Ande, che si irradiava sul mondo, con i suoi altri quattro punti; e quella dell’Atlantico nord, molto più modesta, fondata molto tempo dopo la catastrofe dai discendenti dei giganti. Questa tesi delle due Atlantidi permette di integrare tut­te le tradizioni e racconti antichi. È di questa seconda Atlantide che parla Platone.

Dodicimila anni fa la Terra capta un quarto satellite: la nostra attuale Luna.

Si verifica una nuova catastrofe. Il nostro globo assume la sua forma rilevata ai tropici. I mari del nord e del sud rifluiscono verso la parte centrale della Terra e al nord ricominciano le epoche glaciali sulle pianu­re abbandonate dall’aria e dall’acqua attratte dalla nuova luna. La seconda civiltà atlantidea, più limitata della prima, sparisce in una notte, inghiottita dalle acque del nord. È il Diluvio di cui si conserva il ricordo nella Bibbia. È la Cadu­ta di cui si ricordano gli uomini cacciati contemporanea­mente dal paradiso terrestre dei tropici. Per i seguaci di Horbiger i miti della Genesi e del Diluvio sono nello stes­se tempo reminiscenze e profezie, poiché gli avvenimenti co­smici si ripeteranno. E il testo dell’Apocalisse, che non è mai stato spiegato, sarebbe una traduzione fedele delle ca­tastrofi celesti e terrestri osservate dagli uomini nel corso dei tempi e conformi alla teoria di Horbiger.

In questo nuovo periodo di luna alta i giganti viventi degenerano. Le mitologie sono piene di lotte di giganti fra di loro, di combattimenti tra uomini e giganti. Questi, che erano stati re e dei, ora, schiacciati dal peso del cielo, sfini­ti, diventano mostri da cacciare. La loro caduta è tanto più bassa quanto più alta era stata la loro ascesa. Sono gli orchi delle leggende, Urano e Saturno divorano i loro figli. Da­vid uccide Golia. Come dice ancora Hugo, si vedono: orribili giganti stupidissimi vinti da nani pieni d’intelligenza.

(Chrono divora i suoi figli)
È la morte degli dei. Gli ebrei, quando entreranno nella Terra Promessa, scopriranno il monumentale letto di ferro di un re gigante scomparso:

“Ed ecco, il suo letto era di ferro, lungo nove cubiti, e largo quattro.” (Deuteronomio).L’astro di ghiaccio che illumina le nostre notti è stato captato dalla Terra e gira intorno ad essa. La nostra Luna è nata.

Da dodicimila anni non abbiamo cessato di renderle un culto vago, pieno di inconsapevoli reminiscenze, di de­dicarle un’inquieta attenzione di cui non capiamo molto bene il significato. Quando la contempliamo, continuiamo a sentire qualche cosa muoversi nel fondo della nostra me­moria più vasta di noi stessi. Gli antichi disegni cinesi rap­presentano il drago lunare che minaccia il globo. Si legge nei Numeri (XIII, 33): “Ed ecco, vedemmo i giganti, i figli di Anak che discendono dai giganti, e ai nostri occhi noi eravamo di fronte ad essi come dei grilli – e ai loro occhi eravamo come dei grilli”.

E Giobbe (XXVI, 5) ri­corda la distruzione dei giganti ed esclama: “Gli esseri morti sono sotto l’acqua, e gli antichi abitanti della Terra…”.Un mondo è sprofondato, un mondo è scomparso, gli antichi abitanti della Terra sono scomparsi, e noi comin­ciamo la nostra vita di uomini soli, di piccoli uomini ab­bandonati, in attesa dei mutamenti, dei prodigi e dei ca­taclismi futuri, in una nuova notte dei tempi, sotto questo nuovo satellite che ci giunge dagli spazi in cui si perpetua la lotta tra il ghiaccio e il fuoco.

Un po’ dappertutto alcuni uomini ripetono ciecamente le imprese delle civiltà estinte, innalzano, senza sapere piu perché, monumenti giganteschi, ripetendo, nella decadenza, i lavori degli antichi maestri: sono le immense megaliti di Malekula, i menhirs celtici, le statue dell’isola di Pasqua. Popolazioni che noi oggi chiamiamo “primitive” sono senza dubbio resti degenerati di imperi scomparsi che ripetono, senza capirli e imbastardendoli, atti anticamente regolati da amministrazioni razionali.

In certi luoghi, in Egitto, in Cina, molto più tardi in Grecia, sorgono grandi civiltà umane, ma che conservano il ricordo dei Superiori scomparsi, dei giganti re iniziatori, dopo quattromila anni di cultura, gli egizi del tempo di Erodoto e di Platone continuano ad affermare che la gran­dezza degli antichi deriva dal fatto che hanno imparato le arti e le scienze direttamente dagli dei.

Dopo molte decadenze, un’altra civiltà nascerà in Occiden­te. Una civiltà di uomini staccati dal loro passato favoloso, limitati nel tempo e nello spazio, ridotti a se stessi, e in cerca di mitiche consolazioni, esiliati dalle loro origini e in­consapevoli dell’immensità del destino delle cose viventi legato ai vasti movimenti cosmici. Una civiltà umana, uma­nistica: la civiltà giudeo-cristiana. Essa è minuscola. È un residuo. E tuttavia questo residuo della grande anima pas­sata ha illimitate possibilità di dolore e di comprensione. È il miracolo di questa civiltà. Ma essa è al suo termine. Ci avviciniamo ad un’altra epoca. Stanno per verificarsi del­le mutazioni. Il futuro sta per dare la mano al più lontano passato. La terra rivedrà i giganti. Ci saranno altri diluvi, al­tre apocalissi, e regneranno altre razze.

“Dapprima abbiamo conservato un ricordo relativamen­te nitido di ciò che avevamo visto. Poi questa vita s’innal­zò in volute di fumo, oscurò rapidamente ogni cosa, ad ec­cezione di alcune grandi linee generali. Attualmente tutto ritorna alla mente con una limpidezza maggiore che mai.” E nell’universo in cui tutto si ripercuote su tutto, formere­mo profonde ondate.

Questa è la tesi di Horbiger, e tale è il clima spirituale che essa diffonde. Questa tesi è un potente fermento della ma­gia nazionalsocialista, e noi ricorderemo subito i suoi ef­fetti sugli avvenimenti. Essa aggiunge lampi alle intuizio­ni di Haushoffer, dà ali al pesante lavoro di Rosenberg, precipita e prolunga le illuminazioni del Fuhrer.

Secondo Horbiger noi siamo dunque nel quarto ciclo.

La vita sulla Terra ha conosciuto tre apogei, durante i tre Periodi di lune basse, con mutamenti bruschi, apparizioni di giganti. Durante i millenni senza luna sono apparse le razze nane e senza prestigio, e gli animali che si trascinano, come il serpente che ricorda la Caduta. Durante le lune alte, le razze-medie, indubbiamente gli uomini comuni del principio del terziario, nostri antenati. Bisogna anche pensare che le lune, prima della loro caduta, agiscano cir­colarmente intorno alla Terra, creando condizioni diverse nelle parti del globo che non sono sotto quella cintura. Co­sicché, dopo molti cicli, la Terra offre uno spettacolo molto vario: razze in decadenza, razze in ascesa, esseri intermedi, degenerati e apprendisti del futuro, annunziatori di muta­menti vicini e schiavi di ieri, nani delle antiche notti e Si­gnori di domani. In tutto questo dobbiamo sgombrare le vie del sole con occhio implacabile quanto è implacabile la legge degli astri.

Ciò che si verifica nel cielo determina ciò che si verifica sulla terra,” ma c’è reciprocità.

Come il segre­to e l’ordine dell’universo risiedono nel più piccolo gra­nello di sabbia, il movimento dei millenni è contenuto in certo senso nel breve spazio del nostro passaggio su questo globo, e noi dobbiamo nella nostra anima individuale come nell’anima collettiva, ripetere le cadute e le ascese passate, e preparare le apocalissi e le ascese future.
Noi sappiamo che tutta la storia del cosmo è legata alla lotta tra il ghiac­cio e il fuoco e che questa lotta ha potenti riflessi quag­giù. Sul piano umano, sul piano dell’intelletto e del cuore, quando il fuoco non è più trattenuto, viene il ghiaccio. Lo sappiamo per noi stessi e per l’intera umanità che è eterna­mente posta davanti alla scelta tra il diluvio e l’epopea.

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